Le espressioni di religiosità

Il suono della campana veniva interpretato come voce di Dio e all'udirla ci si esprimeva con il segno della croce e con detti religiosi. Le espressioni di religiosità popolare "registrate" tra la gente del mio paese, la città di Venosa, sono alla base delle mie riflessioni, delle mie ricerche e dei miei approfondimenti.
Preghiere dei vari momenti della giornata e della vita, devozioni a Cristo, alla Madonna, ai Santi e le stesse formule magico-religiose, se studiate senza ottica di parte, danno alla religiosità della gente semplice un significato carico di umanità, dove è possibile riconoscere lo sforzo del "semplice" nel tentativo dell'incontro con Dio, pur nelle ricorrenti "sbavature" che tale sforzo comprensibilmente comporta.
Cercherò di documentare su questo blog, in modo più completo ed esaustivo possibile, quanto da me sostenuto e trovato nella mia lunga ricerca, pubblicando testi scritti, immagini, foto, file audio e video originali.
Alla luce di quanto da me riscoperto e raccolto in questi anni, sento il dovere di ringraziare quanti mi hanno aiutato e dato l'opportunità di esprimere sia a me stesso e al popolo venosino, dal quale provengo, tutta la necessaria ed insostituibile opera che la “pietas religiosa” ha svolto nel corso dei secoli nella nostra meravigliosa città di Venosa, culla della fede cattolica già dalla prima metà del III sec d.C.

domenica 9 marzo 2014

Briciole di religiosità

Di buon mattino appena uno dei miei nonni prima e i miei genitori dopo,  si alzavano per aprire la porta di casa, si sporgevano con la testa al di fuori dell'uscio per guardare il cielo, poi rientravano farfugliando qualche espressione che sapeva di preghiera.
La natura era per i miei cari e per la gente di questa terra il libro, dove apprendevano e fondavano la propria fede; il cielo era quasi un segno visibile del contatto con la divinità ed ad esso di solito guardavano come primo segno di religione e come primo atto liturgico.
L'intera vita era scandita sotto i segni della religione: la campana della chiesa segnava per loro le ore della giornata; il ritmo delle stagioni, l'inizio e la fine dei lavori in campagna; i momenti di gioia, come il natale, la pasqua, la SS Messa, le processioni e il vespro; di lutto.

Non si trattava soltanto di segni esteriori, ma di segni che rivelavano una concezione di vita, che si svolgeva tutta in un contesto di fede.
Una continua vita di lavoro, sacrificio, dolore, gioia, di preghiera, con un notevole spirito di sacrificio, di rinuncia e di rassegnazione.
La luce della fede illuminava tutti i momenti della vita di questa gente: il momento del lavoro, della gioia, della sofferenza e la si esprimeva di continuo nello stesso linguaggio di ogni giorno.
Il popolo lucano, a causa anche della particolare configurazione del suo territorio, ha vissuto per lunghi secoli in condizioni di isolamento ed a contatto con una natura molte volte ingenerosa.
Il sentimento di impotenza di fronte alla natura gli è stato quasi congenito e la stessa natura gli è apparsa piena di forze misteriose, che occorreva soprattutto placare.
Era facile, in queste condizioni, il ricorso a pratiche magiche per propiziarsi tali forze naturali.
Ma accanto e distinti dai segni magici c'erano segni di autentica pietà  e soprattutto un sentimento profondo di amore verso Dio, che comprendeva tutto il senso dell'umano: contemplazione e azione, ragione, senso e volontà.

La devozione

Il senso religioso nella nostra terra è l'elemento comune presente in tutti i momenti della vita e si trova sia a livello di relazioni sociali (inaugurazione della vita col battesimo, celebrazione di matrimoni e di fidanzamenti, cura dei malati e culto dei morti) sia a livello di realtà economiche (suono di campane contro la grandine) preghiere e benedizioni per il raccolto delle messi, benedizioni contro animali nocivi o in favore di quelli domestici ammalati ecc...».
Nell'area delle manifestazioni private la religiosità sfugge molte volte al controllo, ma è tanto frequente e ricca:

la sera, per esempio, la moglie del contadino faceva segni di croce e si abbandona a preghiere diverse per invocare la benedizione di Dio sulla casa contro qualsiasi forma di insidie che potessero accadere.
Proprio perché queste espressioni in quanto private sfuggono facilmente al controllo, tratterò forme più comunitarie sia di preghiere, sia di devozione a Cristo, alla Madonna ed ai Santi, sia ancora di spergiuri e formule magiche.



sabato 8 marzo 2014

Religiosità popolare a Venosa

Nella gente venosina la religiosità abbraccia un po’ tutta la realtà della vita, perché si presenta come elemento permeabilizzante in tutti i momenti della vita e in tutte le ore della giornata.
La gente non crede ad un Dio che sta fuori dalla propria vita concreta, per essa la religiosità è riferita a persone e cose concrete, la realtà divina viene accolta e vissuta nella dimensione del reale.
Le sue manifestazioni sono diverse, talora è colta come comportamento sociologico, talora come vissuto personale cosciente, alle volte si pone come aspetto folcloristico, altre volte come fatto discusso, specie questo tra persone più istruite. 
Sia entro un movimento comunitario, sia come esperienza intima privata, essa non conosce una elaborazione sistematica,  perché si mantiene prevalentemente  nel vissuto. 
D'altronde la gente non crede ad un Dio che sta fuori della propria vita concreta, per essa la religiosità è riferita a persone e cose concrete, la realtà divina viene accolta e vissuta nella dimensione del reale, non esiste tendenza a trascendere la propria situazione terrena neppure quando si tenta di unirsi a Dio. 
Si cerca di indurre la potenza divina a manifestarsi entro il rango terreno della propria veduta umana.
Per questo si presenta molto varia e non facilmente sistemabile. 
Proprio perché l' elemento comune presente in tutti i momenti della vita, il religioso, tra i lucani, si trova sia a livello di relazioni sociali (inaugurazione della vita col battesimo, celebrazione di matrimoni e di fidanzamenti, cura dei malati e culto dei morti), sia a livello di realtà economiche (suono di campane contro la grandine) rogazioni e benedizioni per il raccolto delle messi, benedizioni contro animali nocivi o in favore di quelli domestici ammalati...
Nell'area delle manifestazioni private la religiosità sfugge molte volte al controllo, ma è tanto frequente e ricca:

la sera, per esempio, la donna del contadino faceva segni di croce e si abbandona a preghiere diverse per invocare la benedizione di Dio sulla casa, contro qualsiasi forma di insidia, che potesse accadere, anche come segno di fedeltà alle virtù domestiche in assenza anche dello sposo, il più delle volte lontano dalla casa: là nella "masseria del padrone", dove una dura condizione di lavoro lo costringeva a rimanere per quasi l'intero periodo dell'anno.
La preghiera è misura stessa delle fede. 
Le preghiere comprendono sentimenti fra i più disparati, da quello della gratitudine per il dono della giornata, al desiderio di una benedizione per le cose materiali, dal senso del peccato ad una fiducia, mediante la preghiera, nella protezione di Dio, della Madonna, dei Santi (nelle preghiere del mattino e della sera).
Il senso del sacro impregna un po’ tutta la vita del popolo. 
La chiesa era considerata come luogo della particolare presenza di Dio e quindi richieste di invocazioni e di purificazioni accompagnano il fedele all'ingresso del tempio. 
Il suono della campana veniva interpretato come voce di Dio e all'udirla ci si esprimeva con gesti e detti religiosi (preghiere recitate prima di entrare in chiesa o al passaggio  davanti ad una chiesa o un luogo sacro); 
anche in altre circostanze si recitavano delle preghiere: spegnimento del fuoco, lievitazione del pane, chiusura a sera della porta di casa...
Forme spontanee di religiosità popolare si possono cogliere anche nelle espressioni molto frequenti sulle labbra di tutti: 

“S' Crist' vol', Madonna meje, Crist' maje" 
(se Cristo vuole, Madonna mia, Cristo mio). 

Si tratta di espressioni che indicano la dipendenza delle cose da Dio ed il bisogno dell'uomo da parte di Dio.
Proprio perché queste espressioni, in quanto private, sfuggono facilmente al controllo, cercherò di analizzare lungo questo percorso, forme più comunitarie di preghiere, di devozione a Cristo, alla Madonna ed ai Santi, che di spergiuri, in cui l'invocazione sacra,  si trasforma in imprecazione e sfocia in formula magica.

venerdì 7 marzo 2014

Lineamenti storici

I lucani abitano queste terre fin dalle origini più antiche, le popolazioni indigene erano dedite per lo più alla pastorizia. 
Tra la fine del VI secolo ed i primi del V  a.C., entrarono nella regione i colonizzatori greci, i quali si insediarono nella pianura litoranea ionica da Metaponto ad Eraclea che così prese a far parte della Magna Grecia. 
Tuttavia i rapporti tra i colonizzatori e le popolazioni interne, contadini e pastori custodi di una civiltà nascosta, che al contrario di quella greca, non erano pacifici. Giù nel corso del V secolo a.C. i lucani si erano stabiliti nella valle del Crati, (ai confini tra lucania e calabria) e nella pianura di Posidonia (Paestum), penetrando nei territori di Metaponto e di Eraclea, che all'inizio del IV secolo furono alquanto lucanizzati. Sopraggiunsero poi i Sanniti e i Romani e quest' ultimi occupando Venosa nel 291  a.C. iniziarono a fare della regione una colonia romana.

Nella guerra tra Roma e Taranto, dove intervenne Pirro, i Lucani per vendicarsi dei vari torti subiti dai Romani si schierarono contro di essi, ma dopo la vittoria dei Romani a Benevento i Lucani finirono col rimanere assoggettati ad essi.  
Durante le  guerre puniche,  ancora una volta i Lucani furono contro i Romani, ma con la vittoria di Roma i paesi ed i villaggi compromessi con i punici furono rasi al suolo ed i cittadini mandati a morte o ridotti in schiavitù.
Così i lucani ad opera dei Romani finirono con l'essere messi fuori dalla storia.


Nell'età medioevale arrivarono i Goti, i quali confiscarono terre e bestiame, ci furono le infiltrazioni arabe e saracene che vi aggiunsero altre rovine, e la dominazione bizantina, che per la sua influenza, può dirsi come la maggior componente in quel periodo della storia lucana.
Tra la fine del IV secolo e la prima metà del V dopo Cristo, penetrò in Lucania il cristianesimo, ma durante la guerra greco-gotica si notavano molte sopravvivenze pagane. Soltanto la diffusione del monachesimo orientale decise della penetrazione della religione cristiana nell'intera regione con culto e iconografia propri della chiesa orientale.

Vennero i Longobardi, la cui dominazione fu più popolare di quella bizantina; però solo con il ritorno dei bizantini nell'Italia Meridionale nell'XI secolo, la Basilicata (da basilikoi o funzionari del basi'eus) si ricostituì in regione autonoma. 
Al tempo dei Normanni e di Federico II la regione emerge, si aprì la strada alla fortuna dei fratelli di Altavilla come sede di legittimazione dei loro diritti nell'Italia meridionale. 
A Melfi nel Concilio del 1059 Nicolò II elargì a Roberto il Guiscardo l'investitura di Dux Apuliae.
Con gli Aragonesi e gli Angioini la Basilicata cadde in preda all'arbitrio della feudalità e mentre altrove nella penisola si notavano i segni della primavera del Rinascimento.
Qui c'era la chiusura ad ogni slancio di progresso ad opera del baronaggio, che, insediatosi dappertutto, mortificherà, nel tempo in virtù del suo spirito di servaggio feudale, qualsiasi possibilità di sviluppo politico e sociale per molto tempo.


Il processo di smantellamento delle strutture feudali, qui più che altrove è stato lento ed impacciato. 
Le medesime oppressioni e sfruttamento fu fatto ad opera sia del governo napoleonico che quello borbonico. 
I risultati del plebiscito di annessione, come non potevano cancellare gli interessi e i risentimenti chiusi nel ristretto orizzonte locale, così non potevano trattenere i contadini dal far ricorso alla forza per riproporre le ricorrenti questioni sociali. 
Così scriveva Racioppi (1*): "il territorio che era del Comune, si assottigliò nel primo ottocento di quotidiani ritagli e lungo un quarto di secolo il demanio comunale, aperto per diritto all'uso di tutti i cittadini, venne chiuso di fatto dai più potenti e più ricchi di essi: pochi legittimando il possesso in virtù di migliorate culture, i più occupandolo a ragione di pascoli". 
"Dopo il 1830- continua ancora il Racioppi -  la popolazione si vide raddoppiata di numero, si sentì ristretta sullo spazio sempre più angusto delle terre acconce a culture e in ragione diretta del numero, in ragione inversa dello spazio crebbe intanto la ragione degli affitti delle terre, che per la massa dei popolari era unica e sola industria".
Il fenomeno della questione meridionale dopo l'Unità d'Italia e l'imperversare del brigantaggio politico furono manifestazioni legate allo spinoso problema della terra.

"Il massaro ", scrive il prof. Giovanni Masi (2*), "indicò i mezzi della repressione del brigantaggio in Basilicata, non tanto mediante conferimento di facoltà eccezionali agli organi di polizia, quanto nell'affrancazione delle terre dei residui feudali e nella composizione della questione demaniale oltre che nell'incremento dei lavori pubblici. 
E il tutto delle sorti della più ignorata provincia del Regno può rimanere affidato più agli organi di polizia che alle cure di uomini pensosi". 




Sostiene ancora il prof. Giovanni Masi: "Per questo, come notò Giustino Fortunato (3*), anche la parte più illuminata della borghesia lucana si chiuse, scontenta di tutto nel suo sterile isolamento, mentre i contadini effettuavano un cambiamento d'aria e d'ambiente che assunse a fine secolo i caratteri di un vero e proprio esodo"



"Esodo" da quel momento, episodio tristemente costante nella storia del popolo lucano spinto di continuo verso terre sconosciute, da quelle delle lontane Americhe a quelle dell'Europa come la Germania, la Svizzera, la Francia ed il Belgio, ai paesi industrializzati della nostra Italia come Milano e Torino.

(1*) Racioppi Giacomo (1827-1908, storico, politico ed economista Lucano)
(2*) Giovanni Masi (docente storico pugliese)
(3*) Giustino Fortunato (1848-1932, politico, storico e meridionalista lucano)

giovedì 6 marzo 2014

Genere di vita (Prima parte)

Per meglio capire la religiosità popolare della terra venosina è opportuno sapere e conoscere lo standard, il genere e la qualità di vita che i nostri padri avevano.
La Lucania è stata considerata da sempre una delle aree del Sud, in cui si sono riscontrati dal punto di vista economico e sociale i maggiori fenomeni di sottosviluppo, depressione e arretratezza, per cui molte volte è stata assunta come zona campione per l'esame del problema del Mezzogiorno d'Italia. 
Il basso tenore di vita delle masse rurali della sua popolazione ha avuto il suo riflesso nella resistenza di cose e credenze. 



In una situazione di immutabilità economica e sociale le sopravvivenze di una mentalità primitiva, che costituiscono le componenti maggiori dell'ideologia del contadino lucano, non hanno trovato via di uscita serbando in gran parte la loro funzione di mezzo di isolamento, protezione e difesa.
L'unificazione d'Italia non giovò, il dualismo denunciato da Giustino Fortunato si aggravò, con l'aggravarsi della pressione fiscale, l'isolamento morale del popolo minuto che sentiva troppo lontano il nuovo re dei galantuomini: Vittorio Emanuele II.

Galantuomini e cafoni erano classi distinte ed estreme in questa terra, portavano i segni di distinzione totale e profonda, dal vestire allo stile di vita.
Voglio qui raccogliere alcune forme sul genere di vita della mia gente; si tratta di una civiltà contadina che si è conservata quasi integra fino alla fine degli anni '60, epoca in cui i valori di quella civiltà andavano in crisi e venivano messi in discussione a causa di rivolgimenti storici di varia natura.
Alcune di queste forme di vita persistono nella generazione di età più avanzata e forse, anche se solo ad un stato inconscio e subdolo, credo si trovano pure nelle ultime generazioni.
L'attività della gente era prevalentemente agricola, visto che Venosa sorge su un altopiano, ma non disprezza attività dedite alla pastorizia e all'artigianato. 



Centro di vita, nel senso che qui svolgevano quasi per intero la loro attività il contadino e il pastore, era la masseria: i nostri nonni ed i nostri padri ricordano ancora le grandi masserie dell'epoca come quella di Briscese, quella della signorina Rapolla, quella di Santangelo, quella di Bergamasco, quella dei Lauridia, giusto per citarne le maggiori. 
La masseria, a volte, si differenziava da zona a zona, secondo del terreno ed il ruolo che esercitava nell'attività economica; in alcune prevaleva la coltivazione dell'uva e la produzione del vino, in altre prevaleva la produzione dell'olio, in altre ancora prevaleva la produzione di grano, quasi in tutte però avevano in comune la produzione di latte e prodotti caseari.
La masseria, che fino a qualche decennio fa rappresentava “un portato immutato delle condizioni sociali dei ben noti tristi tempi del feudalesimo, creatore del latifondo e della grandissima proprietà, le cui forme culturali e i tipi di impresa erano determinati dalle condizioni sociali climatiche dell'ambiente, della configurazione topografica del territorio della insalubrità diffusa della scarsa sicurezza”


Nella masseria il contadino ed il pastore vivevano di continuo l'intero tempo dell'anno a servizio del padrone, poche volte al mese il pastore e più raramente il contadino si recavano al paese per stare in famiglia, visite che si diradavano nel periodo dei lavori di semina, di mietitura e trebbiatura, lavori che duravano non poco a causa dei mezzi primitivi con cui si portavano avanti.


Molti canti di questa gente (contenenti le sue ansie, le sue gioie, le sue speranze, i suoi amori, i suoi tradimenti) si ispiravano a immagini e situazioni create da queste condizioni di vita.
La casa del contadino lucano era condizionata da fattori socio-economici.
L'architettura popolare urbana, paesana e di campagna, si presentava estremamente varia e denunciava, in molti casi, una continuità di origine arcaico-antica.


Basterebbe ricordare molte abitazioni del centro storico di venosa, che erano misere e cavernicole, interamente abitate fino a qualche anno fa, grotte-case, antri umidi, abitate da uomini e da animali.
“La casa del contadino non testimonia la frattura tra il pubblico e privato tra famiglia e comunità che è invece caratteristica dell'habitat borghese e pertanto carattere di domesticità assai basso o nullo, dovuto alle condizioni di miseria dei contadini e anche dal punto di vista storico-sociale all'assenza nel nucleo familiare di funzioni produttive specializzate o diverse dal lavoro agricolo.




L'acquisto del pane era davvero il gradino più basso cui si potesse giungere nella considerazione sociale, mentre quanto più erano i tipi e la quantità di derrate che la famiglia poteva fare a meno di acquistare tanto più prospera e degna di rispetto appariva”.
Il legame sociale del lucano si fondava principalmente sulla famiglia, che costituiva la misura di tutte le cose, e dal cui interesse veniva regolato l'interesse stesso dell'individuo e della comunità.



... Continua: Genere di vita (Seconda parte)